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Correre lungo la strada delle carovane dell'Oman
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Correre lungo la strada delle carovane dell’Oman

Oman Desert Marathon

Correre lungo la strada delle carovane dell’Oman

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Elenco delle angosce da mettere in valigia: come prepararsi alla prima gara nel deserto? Gara NoStop o corsa a tappe? Quali saranno le peggiori difficoltà? Farsi prendere dallo spirito della competizione dando il massimo e competendo fino all’ultima energia, o fermarsi a  godere della bellezza del deserto, contemplandone l’immensità e dimenticando per un attimo di essere in gara? E infine: come guarire poi dal male che tutti contraggono nel deserto, ossia una forte dipendenza dalle dune che porta immancabilmente a cercare nuovi Erg?

Inutile voler dare a tutti i costi una risposta. O meglio: ogni risposta é quella giusta, anche se spesso cambia ad ogni viaggio.

Quando c’è di mezzo un deserto, é quello il metro con il quale ci misuriamo. Ma attenzione perché non restituirà mai lo stesso risultato. Un risultato che cambia a seconda del nostro stato d’animo, del momento che stiamo vivendo e del nostro grado di preparazione, obbligandoci spesso a buttare all’aria la piú attenta delle pianificazioni, per improvvisare ed adattarci. Adattamento ed improvvisazione: due doti fondamentali per solcare i mari di sabbia.

Centosessantacinque chilometri in sei tappe. La piú lunga, di quaranta chilometri. La piú veloce, di diciannove. Tutto in autosufficienza senza peró la rigidezza militare della Marathon des Sables ma nemmeno senza chef stellati ed agi che alcuni viaggi organizzati travestiti da gare nel deserto offrono. Perché é proprio la fatica, la durezza dell’ambiente e dell’arrangiarsi che conferiscono sapore a questa esperienza. Come il sale lo fa per il cibo. 

La Oman Desert Marathon é sicuramente un piatto con la perfetta quantità di sale per chi si avvicina alle dune: non troppo e quindi accessibile, ma nemmeno poco e quindi svuotata degli elementi di sfida e difficoltà.

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Il terreno non é particolarmente difficile e la sabbia in gran parte percorribile di corsa, anche per i runner non molto esperti, ma un vero invito a nozze per chi cerca le soddisfazioni del cronometro. Tratti veloci interrotti da ripide salite su dune di ottanta cento metri con saliscendi in sabbia impegnativa di qualche chilometro, per poi buttarsi nuovamente in una vallata dal fondo piú corribile.

Si corre la mattina presto e anche il camminatore piú rilassato riesce ad arrivare al traguardo senza cuocersi troppo. In alcune gare a tappe l’arrivo al campo coincide con lo sramazzare al suolo e sfruttare ogni istante per il recupero, faticando poi la mattina dopo a ripartire. Qui il tempo di recupero é piú che sufficiente per godere anche del paesaggio che circonda il campo, cucinare, raccogliere la legna, fare qualche foto e godersi la vita del bivacco. Ben inteso, non é certo un villaggio turistico con docce, cucine e intrattenimento: si dorme in tenda e ci si deve arrangiare da soli ma senza troppa pressione e avendo tutto il tempo per guardarsi intorno.

Molto singolare anche la tipologia dei runner, quasi a testimoniare la natura poliedrica e unica di questa competizione. Sul podio e nelle prime posizioni troviamo l’élite Marocchina ed Europea della corsa su sabbia, che sceglie questo appuntamento come allenamento per la Marathon Des Sables. Non a caso Rachid El Morabity ha vinto entrambe le gare l’anno scorso e per ora ha conquistato l’oro in Oman ed é sicuramente il favorito per di quest’anno all’appunamento in Marocco. Ma anche il belga Vanreeth Weking, la affronta con questo spirito: “ottimo appuntamento per sviluppare velocità per i runner esperti, e perfetta occasione per conoscere bene sole e sabbia per chi non ha mai messo piede nel deserto”. 

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E dopo i primi dieci in classifica, che si sono sfidati sul filo del secondo, segue il il grosso del gruppo, con vari livelli di esperienza: da Benoit Laval (il signor Raidlight, per chi non lo sapesse) che si é fatto accompagnare dai due giovanissimi figli che gli facevavano il tifo lungo il percorso, mostrando un altro aspetto di questa gara: è possibile avere accompagnatori che non corrono e che hanno sistemazione separata, senza necessariamente doversi chiamare Raidlight o Ferrino di cognome. Non mancava nemmeno chi era alla prima esperienza, come il modenese Riccardo Zaccaria: “ho potuto assaporare un senso di libertà e di infinito che mai ho provato nemmeno sulle nostre montagne. Sono rimasto impressionato da quanto il mio corpo abbia saputo adattarsi e riprendersi velocemente dallo sforzo fisico di ogni tappa”. E nemmeno le vecchie volpi del deserto, con all’attivo piú di duecento maratone, due runner non vedenti e il coloratissimo Juan Maria Jimenez Llorens (ottavo quest’anno alla Sur les Traces des Ducs de Savoie) che ha corso con la moglie, la quale ha finito la gara in tutta calma, forse portando in spalla del peso che il marito dal minuto zaino si é voluto risparmiare.

Insomma, un gruppo molto eterogeneo, grande abbastanza per garantire la competizione ma non al punto da trasformare il deserto in un luogo affollato, come invece succede in altre gare, dove, il concetto di “deserto” è al massimo un sabbioso ossimoro. E per fortuna, perché ha poco senso andare in un deserto per trovarsi in mezzo ad una folla degna della Maratona di New York.

Grande assente a questa edizione era una tappa notturna. La corsa di notte nel deserto é infatti una dellle esperienze piú mistiche e forti che si possano provare: aria fresca, sensi accuiti e cielo talmente brillante da non rendere necessaria la lampada, stelle luminose come nemmeno in alta montagna riusciamo a vedere in Europa. L’organizzazione, però, fa sapere che, superati i problemi logistici che non l’hanno resa possibile a questo giro, nell’edizione del prossimo anno, sarà una delle sei tappe. 

Tutto questo crea un legame fortissimo e una chimica incredibile tra l’uomo e la natura, portando a percepire l’essenza piú atavica del deserto. Una sensazione difficile da tradurre e riportare in un manuale di sopravvivenza o formula per la vittoria, che è forse la risposta a tutte le domande che anche il più esperto dei runner dovrebbe evitare di farsi.  

Articolo pubblicato su Spirito Trail

 

 
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