17 Set Il piccolo tesoro nascosto del TOR. Pochissimi lo conoscono, quasi tutti ci sono passati sopra. Una lettura per chi non è interessato alle polemiche sul meteo, ma pensa già all’anno prossimo!
I racconti “a caldo” sono quasi sempre dei quadri distorti o incompleti della realtà. A volte però é proprio questa distorsione a rendere la narrazione unica, altre a privarla del suo senso più profondo, offrendo un ritratto sfuocato dei fatti.
Non vi mancherà l’occasione di leggere centinaia di resoconti di martirio ed eroismo al Tor des Geants 2015. Neve, freddo, pioggia, nebbia fittissima e gelo. Condizioni dure. Spesso durissime. Ma non eccezionali: in montagna a metà settembre capita spesso di trovarle! Io ho passato la notte di martedì al calduccio, al bivacco Reboulaz a sentire snocciolare i numeri di pettorale degli abbandoni, quasi fossero delle litanie, nomi già reduci dall’ecatombe della notte di domenica, la radio da un lato, i racconti dei primi in classifica in arrivo in quei momenti dall’altro. Tanti ritiri. Forse troppi. Diciamo fin da subito che é vero, é stato un Tor duro e molto impegnativo, ma é altrettanto vero che queste condizioni in alta montagna a settembre sono comuni come angurie e vuccuprá sulle spiagge emiliane ad agosto. Quindi complimenti e pacche sulla spalla a chi ha affrontato tali avversità, ma non andiamo oltre.
Un po di contegno, e meno sensazionalismo. Non si esaltino troppo i finisher. Questa é la montagna, questo é quello per cui pagate.
Non intendo poi iniziare l’ennesima polemica sulla sicurezza, anche se di cose ne avrei da dire molte. Dico solo che io non avrei interrotto la gara, ma questo avrebbe voluto dire prestare il fianco ai soliti “finti garantisti della sicurezza”, ed evidentemente gli organizzatori hanno ritenuto più opportuno prendere una decisione che fosse popolare sul mercato, più che coerente con quello che è la montagna a settembre.
Il senso di questo pezzo é ben lontano dalle considerazioni tecniche sul TDG.
Voglio svelarvi un tesoro nascosto al Tor des Geants.
Voglio raccontarvi come un’esperienza, con il passare del tempo e il progredire degli eventi possa mutare di significato rivelando cose che rischiamo di non vedere. Il destino da senso e forma ad un mosaico che sovente ci troviamo davanti agli occhi ma che non vediamo.
Così, allo stesso modo, chi ha abbandonato quest’anno o è stato fermato non potendo finire, magari, ripensandoci e rileggendo l’esperienza può lasciarsi alle spalle la delusione e la tristezza facendo posto alla felicità per aver percorso un sentiero con dei tesori inaspettati.

Il bivacco Luca Reboulaz
Saltiamo indietro di un anno, TOR 2014, prendo freddo e vado in crisi attorno al km 226, al rifugio Barmasse. Non perché fosse freddo, ma per un mio errore. Brancollando, con la febbre da congestione e trascinandomi a stento, riesco ad arrivare al Bivacco Reboulaz.
Decido di ritirarmi, ma i gestori, offrendomi del brodo caldo mi invitano a riposare, mangiare e poi prendere una decisione.
Non ero solo stanco, stavo proprio male. Mangio, riposo, mi scaldo e rinato, riparto.
Non mi ha rinfrancato il brodo in polvere o il caldo del rifugio, ho proprio percepito un un calore umano e un’atmosfera positiva, varcando la soglia, che mi ha fatto sentire a casa e riscaldato più di ogni altra cosa e curato meglio di ogni medicina.
Non é stato il semplice piacere dell’entrare in un ristoro: c’era molto di piú. Cosí, uscendo, mi é venuto spontaneo dire tra me e me: “qui io devo tornare, se arrivo a Courmayeur sulle mie gambe, l’anno prossimo il TOR lo faccio da volontario”.
Da questo pensiero è iniziato un viaggio lungo dodici mesi, che mese dopo mese mi ha regalato una tessera di mosaico, fino a farmi trovare davanti al disegno completo senza che nemmeno me ne rendessi conto.
A novembre scrivo all’organizzazione, racconto la mia storia ed esprimo la volontà di fare servizio al Reboulaz, nel turno finale, proprio per aiutare gli ultimi. Prima però chiedo di poter fare la scopa, sempre con questo spirito. Mi risponde Madame-Presidente-Mascotte-Nicoletti, esprimendomi disponibilità ed entusiasmo.
Passano i mesi, e organizzo settembre attorno a questo impegno con notevoli rinunce e difficoltá sul lavoro. Imprevisto: un buco di comunicazione interno al TDG, forse dato dal troppo anticipo con cui ho scritto, e dal mio non rinfrescare la memoria con quel sano fare da stalker che gantisce che in Italia gli impegni non si dimentichino, fa si che la stagista di turno (che in tutte le aziende é sinonimo di incompetenza e meschino scarico di responsabilità di chi le assume) mi assegna al turno iniziale, quello dei top runner che io aborro, e totalmente tralascia il servizio scopa che molto desideravo fare. Strano e sgradevole, il fatto che le cose si mettono in un modo diametralmente opposto a quello che ho pianificato.
Il disappunto é molto, ma in fin dei conti il mio debito morale non é con il TOR, ma con quel luogo e quelle persone. Non é con la SRL che fattura la gara a Courmayeaur ma con le persone che la fanno sui sentieri. Al disappunto subentra la curiositá del vedere questi fatti come una prova dai contorni non definiti.
Il mio “torno” era uno slancio di italica volontà effimera in un momento di gioia oppure un sentimento vero?
Decido di tornare, anche se assistere i primi 50 mi da quasi fastidio come idea: sono quelli che meritano meno e che già hanno tanto. Quelli che spesso hanno un team a seguirli. Nel frattempo, si aggiungono intoppi di ogni tipo che facilmente giustificherebbero un mio forfait. Anzi, me lo servono su un piatto d’argento. Da un viaggio last minute a Roma ad un doloroso ma non grave infortunio che mi rende difficoltoso fare addirittura le scale, immaginate i sentieri per il Reboulaz. Non vedo tutto ció come una “exit strategy” ma come un alzare la posta. Parto. Ci devo essere. Doveva essere una settimana intera tra servizio scopa e ristori con gli ultimi, saranno 35 ore con i “fighi” della corsa.

Con gli altri volontari a tracciare il percorso
Salendo al bivacco in compagnia del Vicesindaco di Nus e della sua nipote inizio a capire, sentendo la storia del bivacco, da dove veniva quel “calore” e quella magnetica attrazione verso una casupola in mezzo al nulla. Nel 1987 Luca Reboulaz, un giovane alpinista valdostano, perse la vita in un incidente su queste cime. I suoi genitori, in sua memoria decisero di costruire un bivacco, che come struttura ed agi ricorda piú un rifugio. Per me il bivacco é un container arrugginito e pulcioso. Questa é una struttura in muratura con cucina, letti e sala da pranzo, tenuta come uno specchio. Ogni anno, dal 1993, anno di costruzione del bivacco, si tiene a luglio una messa in suffragio di Luca Reboulaz. Un anno, dopo la messa, il padre di Luca decide di restare ancora qualche giorno nei luoghi tanto cari ma fatali per il figlio. Ed é qui, che dopo pochi giorni, una mattina non si sveglia, addormentato per sempre in quel monumento costruito alla memoria del figlio, con spirito di amore ed altruismo verso chi percorre questi sentieri. L’Altavia 1 della Val D’Aosta. Un padre, che ha saputo andare oltre alla rabbia e al dolore della morte del figlio ed ha convertito una tragedia in un esempio di amore per la vita e spirito di ospitalitá di chi va in montagna.
E cosí piantando bandierine segnavia, preparando le derrate alimentari e rifacendo i letti per i concorrenti, parlo con gli altri volontari. Tutti della zona di Nus, tutti entusiasti. Non sono “reclutati” dal TDG, ma collaborano attraverso i Comuni con l’organizzazione centrale, non hanno quella patina e quel “corporate pride” che si respira a Cormayeur. Io ho conosciuto dei membri di una piccola comunitá, animati dalla volontá di collaborare e partecipare con uno spirito festoso e ricreativo ad un evento che valorizza la loro terra, dando ospitalitá a dei viaggiatori.
Poi diciamocelo, sbagliavo, il vedere ed assistere i primi non é stato poi cosí male, é vero, su 53 passati in 35 ore devo dire che un paio di dive (e il femminile non si riferisce al sesso anagrafico) ne ho viste, come anche un baro con accompagnatore strategico, ma nella maggior parte dei casi é stato un piacere aiutare atleti che di diverso da quelli nelle retrovie hanno solo la velocità e che quindi erano meritevoli di aiuto quanto gli ultimi.
Tor des Geants o non Tor des Geants, il nocciolo della questione é un altro. Le esperienze creano in noi un quadro della realtà che inevitabilmente genera giudizi ed aspettative. Nulla di male. A volte le cose sono proprio come le vediamo, vanno come le programmiamo e sono conferme di quel che abbiamo visto. Benissimo, ma a questo punto, se ci pensiamo bene quello che resta alla fine fiera é poco più una conferma, un “avevo ragione”. Trovo che sia molto più bello invece tornare a casa con una prospettiva nuova, a volte ampliata, a volte rovesciata, cosa che può accadere solo se succede qualcosa che fa saltare i nostri piani.
Pensateci. Se fosse andato tutto come previsto, non avrei scoperto nulla, oppure sarei dovuto restare a casa di fronte ad un capovolgimento della situazione, mai avrei potuto scoprire uno di quei preziosi punti del nostro pianeta dove le tragedie si trasformano in nuova vita e dove il solo calpestare quel terreno ne fa percepire la forza positiva.
Voi che correrete il Tor des Geants, quando arrivate al Bivacco Reboulaz fermatevi un secondo, ed ascoltate il luogo in cui siete.
Dedicate un minuto di gara ed il vostro pensiero a chi lo ha voluto.
Alzate la testa e guardate sopra i tavoli del ristoro, c’è una foto di Luca e di suo papà.
Sono sicuro che sentirete anche voi un gran calore e senso di aiuto che vi darà la forza per arrivare fino a Courmayeur.
Sergio Enrico
Posted at 14:46h, 17 Settembremolto bello bravo, vero spirito da Tor
Maria Grazia Ariagno
Posted at 14:59h, 17 SettembreBelle le tue parole ma soprattutto sono il vero e unico spirito che dovrebbe girare intorno al Tor BRAVO
Franco Soldi
Posted at 16:25h, 17 SettembreSabina Malduca
Posted at 20:42h, 17 SettembreBellissimo articolo!!
Nicola Santini
Posted at 09:49h, 18 Settembrebellissimo.
Mario Bianco
Posted at 13:15h, 20 SettembreStima per chi ha scritto l’articolo che mostra perfettamente la differenza tra guardare e vedere in profondità. Chi ama ha sempre ragione.
Fabio Benvenuto
Posted at 19:56h, 01 NovembreL’11/9/1993, durante la cerimonia di inaugurazione del bivacco, l’allora sindaco del comune di Nus, Augusto Pellegrino, terminò il suo caloroso e toccante discorso (riferendosi a mio papà, a mia mamma, a mio marito e a me) con questa semplice frase: “… Non lasciamoli soli!”
Queste commoventi parole riecheggiano ancora da allora nelle nostre orecchie…
ma probabilmente, anzi sicuramente, aleggiano anche nella vallata, tra i monti che circondano il bivacco e all’interno della struttura.
Ne é la prova il fatto che molte persone hanno continuato e continuano, anche dopo la morte di mia mamma avvenuta nel ’95 ( il dolore può trasformarsi in tumore?) e quella di mio papà avvenuta nel 2001( come lei ha riportato in modo commovente nel suo articolo), a mantenere vivo il ricordo di mio fratello. Attraverso piccoli-grandi gesti, o semplicemente con la loro presenza, ci aiutano a mantenere efficiente e curato il bivacco, non ci fanno sentire soli e ci rendono orgogliosi.
E sono proprio questi sentimenti di calore, di amicizia e di solidarietà che lei sig. Tommaso ha percepito nel nostro “piccolo tesoro nascosto”. La ringraziamo di tutto cuore per aver saputo riportarli così bene nel suo bellissimo e emozionante articolo.
Possiamo senz’altro dire che anche lei, dopo la sua “magnetica attrazione verso una casupola in mezzo al nulla” e all’esperienza vissuta come volontario del Tor des Géants, è a tutti gli effetti un componente del club “Gli amici di Luca e Mario”.
Augurandoci di conoscerla personalmente (magari a luglio in occasione della Santa Messa e della polentata in amicizia), la salutiamo calorosamente.
Grazie, grazie!
Enrica Reboulaz, Roberto, Luca e Fabio Benvenuto