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Noi siamo figli delle “pedule”
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Alieni in un mondo di minimalisti della corsa dell’ultima ora, che conoscono la montagna da ieri, e la affrontano tessendo le lodi delle scarpe minimali.

— Noi siamo figli delle “pedule”
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Io le scarpe da trail running le ho scoperte da poco. Saranno si e no sei anni. Ma le scarpe da corsa in montagna sono un’invenzione relativamente nuova, che molti montanari della vecchia scuola guardano ancora con sospetto. Sospetto che spesso nasconde disappunto. E io, tradizionalista, spesso reazionario e ben lontano dal minimalismo e dall’attrezzatura ridotta all’osso, qui sposo la “nuova via”, quella delle scarpe da ginnastica pensate per la montagna.

A dire il vero il concetto mi era già passato per la mente circa 23 anni fa, quando il mio non più piedino non entrando più comodamente nelle pedule super tecniche dell’anno precedente, ha deciso di affrontare una corsa giù dai ghiaioni del Vajolet con le mitiche “Lotto” da tennis che tanto andavano di moda negli anni 90. Risultato del test: grande divertimento e senso di libertà ma scarpe da ginnastica da buttare via. Da lì in poi è stato un graduale abbandono della pedula per un sempre più deciso amore per la scarpa da trail running… anche se all’epoca non esistevano ancora. Amore che è andato di pari passo con lo sviluppo di modelli che pur garantendo una grande mobilità non penalizzano la stabilità e l’ammortizzazione. Ma, sia chiaro, questa non è una recensione di scarpe.

Passano gli anni e il genere umano non si accontenta mai, il mercato si evolve e si spinge ben oltre i limiti dei “bisogni del consumatore”, ed ecco fiorire scarpe minimaliste che si propongono come soluzione ideale per la montagna. Non contenti di questo c’è anche chi inizia a calcare i sentieri con i sandali o con le “barefoot”.

Insomma, siamo passati in poco meno di vent’anni da delle scarpacce dure come tronchi di legno, all’andare in giro con pochissimo supporto e protezione. Ed ecco che qui vesto lo sguardo di disappunto dei montanari vecchio stile: vada per nuova tecnologia e le soluzioni che aumentano il senso di libertà, ma andar scalzi in montagna è proprio andare a cercarsela.

Tanto più che osservando bene i testimonial e i “convinti” delle calzature super minimali in montagna, poi tanto convinti non sono. Comprano scarpe ultraleggere ma poi ci infilano solette e rinforzi di ogni genere, tessono le lodi di un marchio ed un modello pubblicamente, ma poi se li incontri quando si allenano da soli calzano l’esatto opposto delle scarpe che suggeriscono. E ancora, il novello trail runner che di sandalo dotato, spiega quanto sia importante “il contatto con la natura” e quanto sia salutare correre senza supporti artificiali, si scopre poi che sono pochi mesi che ha adottato questo sistema. Non c’è che da aspettare la prima risonanza magnetica. Non tarderà.

Non mi fiderei quindi di guru, top runner e testimonial con nomi di tutto rispetto che suggeriscono il minimalismo estremo. O meglio, se li incontrate in bosco, da soli, di notte, quando nessuno li vede, scommetto che certo non li troverete “scalzi”.

Benissimo scegliere una scarpa più leggera, ma la montagna é sempre la montagna, e spesso i danni che derivano da una scarpa inadatta non si percepiscono subito. Concetto chiarissimo anche a chi da facebook vi osanna la bellezza del contatto con il terreno, ma si guarda dal mettere in pratica la cosa quando si allena.

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