04 Ago OUT, Orobie Ultra Trail, l’Ultra trail dei PECCATI CAPITALI
Dal punto di vista giornalistico, quando si scrive una recensione, la critica aiuta sempre. Una notizia tragica di cronaca nera con sangue e dettagli scabrosi, riempie meglio una prima pagina rispetto alla noia della routine quotidiana.
Meglio ancora se la critica, oltre ad essere oggettivamente meritata, è condita da una nota di vissuto personale. Insomma, quel qualcosa in più che dà all’articolo forza e a chi lo scrive il piacere di togliersi il classico “sassolino nella scarpa”.
Il vero problema si verifica però quando non si vorrebbe assolutamente criticare, quando chi scrive di base ha la critica facile, ma si trova nella rara condizione in cui non vorrebbe assecondare questa natura. Si è partiti con tutte le intenzioni di parlare bene di un evento, ma non si può. O meglio, se lo si fa, si deve mentire.
Si aprono due strade. Quella di tacere, e ingrossare le file di chi scrive per raccogliere consensi, oppure quella di fare onore alla tessera dell’Ordine dei Giornalisti, raccontando la verità anche a costo di farsi violenza.
Come sempre scelgo la strada più scomoda.

La Orobie Ultra Trail ha uno dei percorsi più belli che abbia visto in tutta la mia vita, e non ne ho visti pochi. Un terreno che richiede un impegno enorme dal punto di vista fisico e una grande preparazione atletica, pur essendo tecnicamente piuttosto semplice. Il tracciato è quasi interamente su sentieri classificati come E, con pochissimi tratti esposti e quando presenti perfettamente messi in sicurezza e attrezzati con corde. Questo binomio, terreno durissimo ma tecnicamente accessibile, è un cocktail molto inusuale da trovare, in quanto la maggior parte delle gare va a dividersi tra quelle veloci e scorrevoli su terreno semplice, autostrade montuose, oppure quelle con componenti tecniche ed alpinistiche dove, in molti tratti, anche i primi in classifica a correre non ci pensano nemmeno. Oltre a questo aspetto, attraversare le Orobie significa calcare dei sentieri tenuti bene, con un buon numero di rifugi, ma senza incappare nell’affollamento di mete più gettonate.
Anche qui un’altro binomio difficilissimo da trovare sulle nostre montagne: se si vogliono panorami di bellezza pura e selvaggia, spesso si deve rinunciare a sentieri ben tenuti e ai rifugi. Non sulle Alpi Orobie: i sentieri sono quasi impeccabili, i rifugi non mancano, ma si respira un’atmosfera di montagna incontaminata. Se non bastasse avere un terreno facile ma molto impegnativo, uno scenario incontaminato ma con la possibilità di trovare supporto ai rifugi, c’è un altro aspetto molto positivo delle Orobie Ultra Trail: l’intera gara è ritmata in un continuo saliscendi di colli con salite tra i 600 e i 1000 metri in un susseguirsi ritmico e un alternarsi di strappi che alle mie gambe ha ricordato molto il Tor Des Geants.
Un piccolo Tor: semplice tecnicamente, ma che richiede una grande preparazione e sforzo fisico.
Dove finisce una cartolina, che chiunque potrebbe decidere di percorrere in piena autonomia, inizia la mia valutazione sulla gara, la Orobie Ultra Trail.
Una gara nata da uno staff organizzativo molto esperto e con un infinito curriculum, sia atletico che alpinistico, da cui ci si aspetta una performance organizzativa impeccabile. Purtroppo non è andata così: quando si pensa che bastino titoli, carte d’identità locali e grandi capitali a disposizione per garantire sicurezza e qualità dell’esperienza, gli unici capitali che si raccolgono sono i peccati. Io ne ho identificati tre.
Prima della partenza, il vincitore della gara ha dichiarato a che ora sarebbe arrivato, senza un briciolo di modestia, dando per scontato che sarebbe stato il primo. Lì ho capito come mai hanno deciso di farci partire alle 14.00 di venerdì: poco meno di 24 ore di percorrenza sono ottimizzate in un pomeriggio in cui si parte freschi, una nottata e una mattina in cui si è al riparo dal caldo. Per chi deve correre 24 ore, la partenza alle 14.00 è la scelta più logica.
Per tutti gli altri NO.
Per il runner medio o il fast hiker, la Orobie Ultra Trail è una esperienza in parte sprecata, in quanto si parte con il massimo del caldo, per poi percorrere i punti più belli in piena notte non godendo a pieno della bellezza di queste montagne. Uno start nelle ore centrali di buio, o alle prime luci dell’alba avrebbe dimostrato più attenzione al concorrente medio e meno interesse a gratificare l’ego di chi sale sul podio. Fatto sta che alla fine della gara il mio primo pensiero è stato quello di tornare presto sulle Orobie, vederle in autonomia e gustarle a pieno. A pensarci bene è la cosa peggiore che possa accadere, come andare ad un ristorante e mangiare un piatto che non è talmente cattivo da togliere l’appetito ma non è nemmeno abbastanza buono da dare soddisfazione. Uno chef che spreca degli ottimi ingredienti con una preparazione mediocre. E come nella cucina, anche nelle gare, la chiave è spesso nei tempi giusti.
Un’ organizzazione che ferma la gara due volte, senza un reale motivo, senza essere organizzata per gestire un fermo gara. Non entro nel merito della decisione del Direttore Di Gara, ma sarebbe il caso di farlo visto che si trattava di pioggia forte, cosa assai normale in montagna, dico però che non è ammissibile fermare due volte i concorrenti, lasciarli raffreddare in quota all’aperto, senza disporre di ambienti riscaldati e coperte per poi farli ripartire. In questo caso il fermo gara diventa un fattore di pericolo, non di sicurezza, in quanto si creano le condizioni ideali per mandare in ipotermia chi, prima del fermo, stava benissimo.
Nel mio caso il fermo gara si è tradotto in una contrattura muscolare che mi sono portato avanti per 12 ore. A questo si aggiunge un comportamento scortese del responsabile del ristoro e delle gravissime leggerezze nella gestione delle informazioni sul percorso di gara che qui non mi metto a trattare.
Orobie Ultra Trail sovrapposta alla GTO. Entrambe le gare su sentieri in single track, su cui spesso è fisicamente impossibile superare e in cui si creano le condizioni in cui chi ha 100 km e 7500 D+ nelle gambe, senza aver dormito un minuto, si trova alle calcagna 700 atleti appena partiti e freschissimi. Cosa fare? Io che non sono un atleta, ma prima di tutto rispetto lo spirito della montagna, ho passato circa 10 ore a far passare gli atleti della GTO, ma la mia scelta non è per nulla scontata. Dalla Capanna 2000 in poi, prima della seconda base vita, chi corre la OUT si trova sovrapposto alla GTO. Questo crea un disagio enorme, in particolare modo per gli atleti della gara lunga. Dubito che gli atleti della gara breve si siano lamentati di questo aspetto, perché noi della gara lunga ci siamo sempre fatti da parte per farli passare, ma questo non toglie che l’esperienza e il tempo finale vengano molto compromessi da questo fatto.
In definitiva resta il desiderio di gustare le Orobie, di vederle con la luce del sole e di assaporarle senza venir spinto quasi all’ipotermia, partendo da una condizione fisica perfetta. Resta una profonda tristezza nel vedere come degli ottimi ingredienti, come la bellezza e l’unicità di questi sentieri, che avrebbero potuto dare vita al perfetto sposalizio tra una grande manifestazione dallo spirito competitivo e incentrata sulla prestazione con quella del fast hiker, ultra trailer, che oltre alla competizione guarda l’esperienza di viaggio, sia una volta in più stata tradotta in un evento cucito su misura sui vincitori, e dall’altro sull’esigenza di far cassetto sovrapponendo due gare.
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