04 Mag Sardinia Extreme Track, correre e farsi rapire dalla bellezza del Supramonte
Mare color Smeraldo, feste, spiagge rosa o bianchissime, feste VIP e divertimento. Ma anche tanta gente, prezzi alti e un gran trambusto. Lo ammetto: per me la Sardegna era questo. La frequentavo con gli amici ai tempi dell’università e del liceo, negli anni ’90, dove la priorità era spendere denaro e divertirsi, e ci sono tornato qualche volta all’inizio degli anni duemila, dove la priorità era produrre e risparmiare denaro, e far carriera.
Ci sono stato in tutti i modi: in traghetto, con un volo di linea, sui low cost affollati, in barca e perfino in jet privato.
A nuoto non ancora.
Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato esplorare l’entroterra, le zone meno turistiche della Sardegna e farlo in un periodo dove bolge più o meno vip sono ancora in letargo urbano. Mi sono sempre chiesto come fossero quei boschi impenetrabili, luoghi apparentemente adatti solo ai banditi ed ai sequestratori.
Dopo quasi 20 anni dalla prima volta che ho fatto questo pensiero, mi giunge l’occasione di partecipare all’edizione zero della Sardinia Extreme Track race. Duecento chilometri in tappe da quaranta, su 5 giorni, partendo dal cuore dell’isola. Dalle zone più selvagge del Supramonte e a molti note per una passato di cronaca nera, fino alle coste con il mare di un turchese abbagliante di Baunei.
Si sa, io al buon cibo e alle gare lunghe non dico mai di no, quindi, detto e fatto, si parte.
Partecipo mosso più dal desiderio di esplorare queste terre, che dal competere su una prova a tappe. Le mie gare sono quelle in tappa unica, dove si corre giorno e notte e dove la resistenza e la capacità di adattamento hanno maggior peso rispetto alla velocità di corsa e di recupero: non sarà la mia prova ma sicuramente sarà una grande avventura.
Navigazione GPS, terreno impervio ed autosufficienza quasi totale durante tutta la gara: gli ingredienti che piacciono a me. Trovo anche delle affinità di pensiero con il concetto di questa gara, oltre all’uso del GPS gli organizzatori prevedono una bisaccia in cuoio, quella tradizionale dei pastori sardi, in cui mettere le provviste per tutta la settimana. Un po’ come la mia cassa dell’Ipertrail ma su un concetto di sussistenza settimanale.
Ovviamente la bisaccia la portano loro, anche perché correre con zaino e sacca in pelle piena zeppa di pecorini e pane carasau sarebbe decisamente poco godibile. Si preannuncia una gara dura, resa ancor più dura dal fatto che è un’edizione zero e quindi passibile di tutti i disagi e disguidi che possono nascere da un progetto non testato. Questo me la fa piacere ancora di più: la scoperta nella scoperta.
Trovandomi in Versilia opto per la nave da Livorno, che cosa meno del taxi dal centro di Milano a Malpensa. Dal porto di Olbia mi trasferiscono in un hotel pazzesco vicino alla risorgiva del Gologone. Un’atmosfera magica, servizio impeccabile e camere più adatte ad una vacanza in dolce compagnia più che ad una gara a tappe. Mi sembra di tornare nella Sardegna patinata che vivevo negli anni 90, l’idea della gara, di 5 giorni senza doccia e dormendo in ripari di fortuna, navigando con il GPS e mangiando il cibo dei pastori, pian piano sfuma tra le lenzuola di lino finissimo e la cucina da gourmet.
“Partenza ore 7.00 di domani mattina” – Voglia zero: mi attira di più la vasca da bagno sul terrazzo a vista monte. Sorge poi un altro dubbio: sarà una gara seria o una baracconata da turisti italiani in stile tortellini bolognesi e chef stellato nel deserto? – Vedremo, intanto faccio piazza pulita al buffet della prima colazione.
Una partenza davvero traumatica a stomaco pieno e viziato da un hotel bellissimo. Che sia una strategia di sabotaggio? Mi aspettano 34 km con 2400 D+, il giro del massiccio che veglia sull’hotel. Non tantissimi, ma su terreno carsico e a navigare a GPS le cose cambiano. Una partenza lungo sentieri appena sistemati e marcavia con la pittura ancora luccicante, tutto nuovo ma dove si capisce che di gente non ne passa tantissima. Una tappa che tutto sommato scorre piuttosto velocemente con un primo tratto a mezza costa e con il dislivello concentrato in una salita centrale che porta lungo la cresta per poi scendere dall’altro lato della montagna. Terreno estremamente vario: dal bosco fitto con vegetazione mediterranea agli enormi spazi aperti della sezione centrale, dove il paesaggio si fa brullo e lunare e la roccia bianchissima è macchiata in qualche punto da peonie di un rosa intenso.
Una salita scoscesa e piuttosto ripida, è seguita poi da una discesa velocissima e scorrevole, che porta ad un fine tappa in discesa. Arrivo al campo del primo giorno, una costruzione agricola a fondo valle dove la mia bisaccia con il cibo mi aspetta. L’atmosfera ovattata dell’hotel è ormai lontana, qui il telefono non prende e la sistemazione è davvero essenziale. Lo staff di supporto è tutto sardo, gente che corre, guide escursionistiche, membri della forestale ed abitanti del luogo. La sensazione è quella dell’ospitalità semplice ma calda che si respirava sulle nostre alpi, laddove non è arrivato il turismo di massa. Anche se ci si deve arrangiare con i contenuti della propria bisaccia, la sera diventa un momento per sedersi accanto al fuoco e lungo lo stesso tavolo, scambiandosi racconti ed impressioni sulla giornata. Una bellissima atmosfera, che accantona per qualche ora la competizione per lasciare spazio ad una genuina convivialità. Il mio timore di finire in un baraccone per turisti è del tutto svanito.
Il secondo ed il terzo giorno continuano con un giro a serpentina attraverso le valli del Supramonte, toccandone tutti i punti più belli. Le foreste primarie, con alberi con più di mille anni si alternano a spazi aperti, campi carreggiati e viste lunari. Alla fine del secondo giorno un arrivo in salita, lungo un crinale a schiena d’asino che porta ad un vecchio ovile dove abbiamo passato la notte sotto un tetto di tronchi di ginepro.
Si dorme su delle brandine che si trovano ogni giorno al campo, ma nello zaino bisogna avere sempre con sé il sacco a pelo. Il mio suggerimento è di non sottovalutare il calo delle temperature che può esserci durante la notte. Paradossalmente nel 2017 le temperature più alte sono state quelle delle tappe nell’entroterra, dove ho dormito scoperto, mentre l’ultimo giorno sulla spiaggia il sacco a pelo è stato fondamentale. In una gara come questa ha sicuramente senso portarsi un pantalone lungo e piumino leggero o maglia termica per la notte.
Il mito di Dedalo di Pausania secondo me offre la spiegazione pià bella sull’origine dei Nuraghe…
“Dedalo, simbolo delle doti artistiche e geniali delle costruzioni greche, che insegnò ai Sardi a costruire i nuraghi. L’eroe mitico Dedalo, fuggito da Creta per sottrarsi all’ira di Minosse con la meravigliosa creazione delle ali sorvolava il mare, alla ricerca di un’isola di cui gli avevano parlato i marinai cretesi e, all’improvviso, la riconobbe. Era stanco e calò con le sue ali di cera, in mezzo ad una selva, dove pastori ospitali lo accolsero ed onorarono. Lì rimase fino a che il vento freddo dell’autunno spogliò le querce degli alti pascoli e la sua pena per la recente perdita del figlio si affievolì. Anche i pastori, suoi amici, emigravano verso le terre più miti del sud ed allora, Dedalo, prima di lasciarli, volle far loro un dono. In una radura segreta, sovrapponendo pietra su pietra con una inclinazione e con un ritmo inconsueti, cominciò a legare saldamente, ma senza far uso di alcuna calce,quei conci di sasso, bilanciandoli con la sua arte e distribuendoli con la sua fantasia, in un edificio mai visto sino a quel giorno. Così inventò il nuraghe e lo donò ai sardi per la loro calorosa ospitalità, perché essi potessero avere una casa ed anche una fortezza.”
Trovarsi attraversando una foresta fitta di colpo di fronte a queste pietre di 4000 anni rende il mito ancora più affascinante
Madre Natura si accoppia con il Toro per ridare vita ai defunti nell'aldilà, ecco cosa accade nelle ``Tumbas de sos zigantes``, correndo, quasi senza accorgermene arrivo su queste sepolture di 4000 anni fa, appunto cumuli a forma di corna di toro. Solo, attraververso queste piane un tempo foreste fittissime, sospeso nel tempo e percorrendo chilometri con le gambe, la mente viaggia come in una macchina del tempo immaginando quel che un tempo era e non volendo immaginare quel che un tempo sarà..
La quarta tappa porta verso il mare, lasciando alle spalle il Supramonte per regalare una discesa finale in cui si vede Cala Luna, la spiaggia dove si bivaccherà, da grande distanza e facendola agognare per ore lungo un sentiero che è sicuramente il meno agevole ed impegnativo di tutta la gara. Dopo una mattinata con i primi 17 km che portano fin dentro l’insediamento di Tiscali ed un dislivello di quasi 1500 metri, si procede per un tratto centrale di strada forestale che pur essendo in salita da un attimo di respiro prima di 4 chilometri di cresta a tratti boschiva, a tratti sassosa che pur non essendo esposta o tecnicamente complessa da affrontare, obbliga a medie di percorrenza più simili all’escursionismo che alla corsa in montagna. Finita la cresta più corta ma apparentemente infinita della gara, ci si tuffa in una discesa continua fino al livello del mare, a Cala Luna, dove una grotta a campata unica si affaccia sulla sabbia granitica ad offrire un luogo di riposo per l’ultima notte. Qui ha senso avere un sacco da bivacco leggero perché il prezzo del panorama mozzafiato è dato dall’alto tasso di umidità durante la notte. Una vecchia alternativa per il sacco da bivacco è usare la coperta termica per isolarsi, oppure, come quando non si usavano i teli termici, un sacco della spazzatura.
La gara richiede navigazione a GPS. Non si tratta di una navigazione difficile. Gran parte dei sentieri sono ben segnai dai marcavia e i bivi sono pochi e visibili. Nei 5 giorni di gara ho usato la traccia solo come conferma per un percorso che viene naturalmente da seguire. Per chi è abituato ad usare il GPS questa gara è quasi una passeggiata, da questo punto di vista, per chi lo è meno, potrebbe essere il terreno ideale per iniziare a prendere confidenza con questo stile di competizione.
Lo stesso si può dire per la tipologia di percorso, tratti molto veloci e corribili alternati a pietraia o boschi dove è necessario rallentare, rendono questa prova interessante sia per chi ama sviluppare velocità che per chi ha un approccio più escursionistico.
L’ultimo giorno si percorre in senso opposto la prima metà del percorso di gara della UTSS, Ultra Track Supramonte Seaside, la tappa più lunga e sicuramente la più impegnativa in un alternarsi di salite e discese di circa 600 metri alla volta, e con pochissimi tratti pianeggianti. Circa 48 km quasi completamente a vista mare che portano all’agognata finish line dove, quasi in modo beffardo, si viene accolti in un altro bellissimo resort, il Lanthia, tutto giocato sui toni del bianco con un mix tra elementi della tradizione e design contemporaneo.
Devo ancora capire se un arrivo così bello e confortevole è un premio per le fatiche svolte o una sottile provocazione per i concorrenti, quasi a dire che alla fine il percorso non è poi così faticoso.
Una nota interessante su questo tratto di gara, oltre alla bellezza dei paesaggi, è come tutto questo tratto costiero di quasi 50 km, parallelo ed in parte sovrapposto a Selvaggio Blu, sia stato riscoperto e reso agibile dagli abitanti del luogo, che in squadre di volontari in cui nonni e nipoti lavorano fianco a fianco, nel tempo libero, metro per metro hanno ridato vita a queste tracce che stavano andando perse. Una consapevolezza ed amore per le proprie origini e tradizioni da cui dovremmo imparare.
Tornando a casa, guardando la costa diventare sempre più piccola dalla poppa della nave, porto a casa il ricordo di una Sardegna che non conoscevo, di terre dove ci sono alberi con più anni di storia delle nostre città ed appagato e sereno come quando torno da un viaggio in terre lontane o luoghi di cui non si stente parlare spesso. Ci ho messo quasi vent’anni a scoprire un mondo che avevo a due passi da casa, che forse ho ignorato perché in un paese dove si parla la mia lingua e dove, si arriva con poche ore di viaggio.
Eppure la soddisfazione è grande come quando torno da un viaggio in un Paese lontano e poco conosciuto, anzi forse anche più grande, per aver scoperto un segreto nascosto proprio sotto il mio naso.
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