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Viaggio nel mondo dove parliamo tutti la stessa lingua: la Trans Atlas Marathon

Viaggio nel mondo dove parliamo tutti la stessa lingua: la Trans Atlas Marathon

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Correndo la Trans Atlas Marathon ho realizzato che normalmente ci sono tre modi di scoprire il mondo a piedi o di corsa: gareggiando, attraverso dei trekking organizzati o andando da soli o con un compagno. Questi tre modi di vivere l'esperienza la caratterizzano profondamente, modificando in maniera radicale la risultante del viaggio.

La gara: competizione pura, ci si concentra sulla meta e i legami che si creano con gli altri sono sul sentiero, in alcuni casi per un lungo tratto, in altri casi per pochi chilometri. Elemento sempre presente è la tensione sull’andare avanti, e tutto viene vissuto con questa finalità. Capita spesso però che negli ultimi chilometri scemi l’aspetto competitivo e si decida “di finire insieme” più che di fare uno sprint finale per guadagnare un posto in più. La maggior parte degli ultra trailer hanno provato questa esperienza.

I trekking organizzati o le “pseudo gare”: Sono quei viaggi in cui l’organizzazione fornisce una struttura solida ed inquadrata con una definizione precisa delle dinamiche.

La Marathon des Sables, pur non essendo una passeggiata, rispecchia questo schema fornendo ai partecipanti programmi e inquadramenti estremanete precisi e lasciando ben poco spazio alle dinamiche naturali che si potrebbero creare. Orari definiti, tende divise per nazionalità, gruppi precostituiti. Insomma la gara con lo spirito del viaggio organizzato. Questo è il modo in cui si ottiene di meno dall’esperienza: le interazioni sociali sono fisse, i tempi prestabiliti e probabilmente si parlerà a passerà la maggior parte del proprio tempo con i propri connazionali. Qui i legami si creano ai campi base più che lungo il percorso e i compagni di avventura diventano una sorta di nuova famiglia che si incontra ogni sera per tutta la durata del viaggio.

L’avventura: quando si parte da soli o con un compagno di viaggio non si sa mai quello che può succedere, dove si arriva, se si torna insieme indietro e chi si incontra. Qui lo spirito dell’avventura e il contatto con la cultura locale e la natura si esprimono all’ennesima potenza, ma mi rendo conto che non è cosa da tutti e sempre facilmente organizzabile. Un viaggio così, se si ha fortuna, si può fare annualmente per la difficoltà nel trovare tempo e il giusto compagno e conciliare il tutto con le incognite che si trovano strada facendo.

Partecipando alla Trans Atlas Marathon mi sono trovato scaraventato in una “quarta dimensione”, una realtà diversa dalle tre sopra descritte e che ben conoscevo. Questo perchè la Trans Atlas ha una genesi piuttosto anomala. Oragnizzata da Mohamed Anshal, nome di spicco e dominatore indiscusso per anni della Marathon des Sables, è un evento che al contrario di molti altri del settore ha uno stampo prettamente “local”.

Trans Atlas Marathon

Correre e competere, ma se ad un passo, a oltre 2000 metri il sentiero incrocia un campo da calcio, perché non fermarsi a giocare?

Non sono i francesi o gli inglesi a colonizzare con un una macchina organizzativa degna di un piccolo stato il paese in cui si tiene la gara, ma è un runner locale che dal nulla ha ideato e organizzato un evento. Nel farlo il signor Mohamad Ahansal però non ha dimenticato le sue origini e non ha rinnegato il mondo da cui è venuto. Il risultato è stato quindi un mix davvero unico: i runner internazionali che spesso incontriamo alle gare e agli eventi di questo tipo, accostati a runner locali benestanti che hanno deciso di vivere questa esperienza e a giovani promesse che hanno partecipato a questo evento grazie all’aiuto e al mecenatismo dell’organizzatore. Quasi fosse una sorta di “Talent show” e l’occasione della vita per emergere. Attorno a questo nucleo di corridori assai strano e dismogeneo per cultura, capacità e possibilità economiche (non dimentichiamoci che molti di queste gare sono cose solo per noi “occidentali ricchi”), uno staff medico francese molto affabile e montanari duri e puri, cresciuti sull’Atlante, a segnare e verificare il percorso.

E sono proprio i runner locali, sia quelli bestanti che quelli meno fortunati, che mi hanno accolto come mai mi era successo prima, facendomi quasi dimenticare e passare inosservata la presenza dei viziati europei alla ricerca di adrenalina e nuove esperienze. Sono state proprio le profonde differenze culturali, sociali e di lingua che hanno messo in risalto un aspetto dello sport di cui tutti ci riempiamo la bocca, ma che nessuno tiene veramente in considerazione.

Lo sport come elemento e sistema di valori comune che unisce le persone trasformandosi in un linguaggio che rende possibile la comunicazione anche tra chi parla lingue diverse e viene da mondi distanti anni luce. Belle parole e concetti interessanti che credevo di aver compreso, ma che in realtà non sapevo cosa fossero davvero.

Da qui la riflessione su come si attiva questo meccanismo, come si fa a girare un interruttore che riporta l’uomo a prima della Torre di Babele annullando le differenze intese come elemento di divisione ed amplificando quelle intese come fonte di arricchimento culturale.

Pensavo alla formula con la quale possiamo giungere al minimo comune denominatore tra esseri umani così diversi, e come possono questi mondi incontrarsi pacificamente e capirsi profondamente in pochi istanti. Si tratta della vera “eguaglianza” ossia quella basata sul rispetto e sulla valorizzazione delle differenze attraverso al dialogo su passioni e valori comuni.

Quando si entra in questo registro di pensiero si inizia a ``sentire`` il proprio prossimo, se ne avverte la fatica, la soddisfazione, la difficoltà ed i timori. Prima della competizione pura c'è la necessità del condividere le risorse per arrivare alla fine e la comunicazione si sposta su un piano che non sempre è quello verbale o gestuale ma è prevalentemente basata su quei piccoli segnali che normalmente sappiamo cogliere solo in chi conosciamo molto bene

Durante questi giorni dei totali sconosciuti sono riusciti a capire da una mia espressione del volto se avrei corso veloce o piano durante una tappa, di contro io ho riuscito a prevedere crolli di prestazioni o scatti finali di quei compagni di viaggio a cui sono stato più vicino. Il tutto senza parlare e creando un piano di comunicazione mai sperimentato prima.

Trans Atlas Marathon

Dopo una giornata di corsa, la tradizionale tajine, un piatto soltanto in mezzo al tavolo, da cui tutti inzuppano il pane e mangiano la carne 

Ma queste considerazioni apparente buoniste vanno prese con un enorme “MA”. Non tutti possono accedere a questo livello di comunicazione. Le persone “piccole”, grette e concentrate solo su loro stesse continuano a vivere in un mondo in cui non si comunica, e spesso non si capiscono nemmeno quando parlano la stessa lingua. Condizione base è quindi saper rinunciare ad un apparente tornaconto immediato, per aprirsi ad una visione più ampia della realtà.

Le Montagne dell’Atlante mi hanno fatto rivivere la primitiva esperienza di un genere umano che parla la stessa lingua e condivide gli stessi valori. La strada per portare questa chiave di decodifica e comprensione del mondo nel proprio quotidiano, in altre gare e nel lavoro è fermarsi ad ascoltare. Ascoltare non necessariamente la voce ma quello che la persona davanti a noi esprime, ed è proprio l’assenza della comunicazione verbale che ci obbliga ad un piano di osservazione più profondo.

Alle gare di trail o viaggiando non state solo con gli amici, rivolgete la parola agli sconosciuti, offrite il vostro cibo agli altri, e se ne avete poco per voi è anche meglio. Preoccupatevi che chi superate stia bene, scattate una foto ai paesaggi che vi sbalordiscono e rinunciate ad un secondo in meno in classifica. Una gara si trasformerà in un viaggio non solo nella natura e in voi stessi ma anche nella comprensione del prossimo. 

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