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Trans Gran Canaria 360: in viaggio verso il “nuovo mondo”.

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TransGranCanaria360, un’edizione 2020 che probabilmente sarà unica nella storia. Unica per il percorso, con la partenza dal Roque Nublo, l’emblema di Gran Canaria, e unica per il fatto che più che un viaggio attraverso questa perla dell’Atlantico, rappresenta il passaggio traumatico ed inatteso dal mondo prima del Covid19 allo stato di guerra che stiamo vivendo in questi giorni.

Sì, perché chi come me è partito per questa gara ha visto l’Italia e l’Europa all’inizio della pandemia, quando ancora si chiamava “influenza grave”, e disconnesso dalla realtà per i giorni della gara, si è trovato catapultato in un mondo completamente diverso, come in un film post apocalittico in cui il protagonista si risveglia da un coma e si trova innanzi un mondo completamente mutato.

Le gare lunghe sono sempre occasione di riflessioni ed elucubrazioni mentali di vario genere, ed i racconti post gara sono spesso degli attacchi di logorroica condivisione di pensieri che dovrebbero restare personali. Sarà per questo motivo che quando scrivo di una gara mi limito a descriverla, cercando di limitare il mio vissuto. In questo caso prenderò una strada diversa.

Prendo una strada diversa perché questa gara mi ha dato tutto quello che mai mi sarei aspettato di trovare, ed è quello di cui voglio parlarvi.

Sono partito per una corsa di inizio anno, non in gran forma fisica, ma con l’aspettativa di fare un bel viaggio e mi trovo, ubriaco di stanchezza dopo una settantina di ore di gara, in un mondo dove per andare da Bergamo a Trieste serve il lasciapassare; un mondo di autostrade su cui si affacciano autogrill abbandonati e mai stati così silenti. Sono partito scarico e demotivato ma fisicamente sano, pensando di non aver fiato per correre 267 km e mi trovo a camminare per le ultime dieci ore volendo correre, ma non potendo, per una rotula dolorante. Un viaggio in cui sono partito pieno di insicurezze pur avendo all’attivo circa 60 ultramaratone, ma dopo una fine 2019 catastrofica, con due ritiri a due gare di fila: Tor des Glaciers e Oman UTMB. Cosa impensabile per me.

Arrivo al traguardo della Trans Gran Canaria ebbro di stanchezza e congestionato dal sole e dal freddo vento della notte e dopo uno spiedino di papaya, trovo un ristoro con solo caramelle gommose, volontari spaesati e pubblico sparuto che accoglie i primi arrivi della mattina. Una scena surreale che mi ha fatto pensare più volte di essere in stato confusionale. Un contesto dove la soddisfazione della finish line è velata dagli sguardi preoccupati, spaesati e forse già consapevoli della situazione dei presenti.

Partire dando per scontata la possibilità di partecipare ad una gara ed arrivare al traguardo vedendo cancellato il calendario di mezza stagione atletica.

E‘ passata una settimana e sono ancora stordito.

Trans Gran Canaria 360

La TransGranCanaria 360 potrebbe sembrare una gara facile: clima mite delle Canarie, poco dislivello, ascese non troppo lunghe. La realtà dei fatti è completamente diversa, si osserva un tasso di abbandono quasi del 70% ed il terreno, pur non presentando grandi dislivelli, è decisamente impegnativo per le pietraie ed il fondo quasi sempre sconnesso e con la totale assenza di acqua fuori dai ristori. Non va quindi sottovalutata in alcun modo. Un viaggio che potrebbe anche essere vissuto come trekking in solitaria o in gruppo, consapevoli che i punti di ristoro o a cui rifornirsi di acqua e cibo sono pochissimi e che si vivrà una notevole varietà climatica ed ambientale, che riassume in sé le caratteristiche del Mediterraneo e del Nord Africa. Un aspetto che si evidenzia anche nella vegetazione e nelle caratteristiche del terreno. Sono tre le aree climatiche che si attraversano. La prima area è quella costiera che è ventosa e secca. Il fondo è sassoso e sconnesso, il terreno è brullo e dalle caratteristiche tipiche delle coste del Nord Africa. In queste sezioni tira quasi sempre vento, il “Calima”, con un soffio forte e senza raffiche ma accompagnato da una polvere finissima gialla e rossa che altro non è che la sabbia del Sahara. Un vento che la sera e la notte può diventare davvero aggressivo e freddo. Altro aspetto interessante è che il Calima a molti, me compreso, provoca problemi di stomaco. A detta dei locali è una cosa normale ed è l’effetto che si vive ingerendo questa polvere finissima trasportata dal vento.

Trans Gran Canaria 360

La seconda area è quella del nord, fredda, verdissima, rigogliosa e piovosa grazie all’influsso degli Alisei. Se da un lato dell’isola c’è il sole e si avvertono 35 gradi, dall’altro si può essere sotto un diluvio torrenziale con meno di 9 gradi. Sentieri con un morbido tappeto verde, tracciato da una striscia di terra scura e costeggiati da grandi arbusti di aneto e finocchio selvatico. Fioriture rigogliose di Echium auberianum ed altri arbusti fanno si che si attraversi una tavolozza di colori tra il giallo, il verde ed il blu scuro. Qui il ricordo della costa svanisce subito, sia per lo scenario, completamente diverso, che per le temperature. Anche qui, sebbene la zona sia molto più umida, i corsi d’acqua sono quasi assenti bisogna fare attenzione. Il terreno è principalmente argilloso, andando a formare un fango compatto e colloso che ricorda quello dell’Appennino Tosco Emiliano o dei Monti Nebrodi in Sicilia. Ed è proprio con i Monti Nebrodi che mi sento di fare un’analogia: simili per vegetazione e per caratteristiche del terreno.

I boschi di conifere si specchiano su bacini idrici ed incontrano i pascoli verdi in quota che emergono da un mare di nubi che coprono la pianura e fanno intravedere le vette della altre isole.

 

La terza area è quella desertica, guardando a sud dell’isola e verso la costa. Grandi pietraie sconnesse con un clima estremante secco e torrido con canyon che si insinuano dalla costa nell’entroterra, con pendii ripidissimi ed ascese brevi ma impegnative. Un terreno duro, che mi ha ricordato tantissimo le pietraie dell’Oman.

Trans Gran Canaria 360

Normalmente affronto questo tipo di esperienza da solo: mi piace trovare il mio passo ed andare in progressione, se possibile, tutta la gara. Anche qui l’esperienza è stata nuova: per la prima volta in 10 anni alla base vita di mezza gara degli amici vengono a darmi supporto, cosa ancora più gradita è stata la visita inaspettata, da parte di persone che con il mondo delle Ultra hanno ben poco a che vedere. E se fino a quel momento avevo considerato, per tanti anni, il tifo ed il supporto esterno, una gran seccatura, due volti amici, delle parole di conforto e delle attenzioni sono state per me un’esperienza nuova e davvero bella. Sarà quindi che da quel punto riprendo la gara e decido di continuare con un ragazzo della Groenlandia, con il quale per i 40 km antecedenti si siamo alternati in un cordiale testa a testa. E mentre il mondo stava andando verso l’isolamento, io, lupo solitario per definizione stavo, chilometro dopo chilometro, apprezzando il piacere della socialità. Quello del supporto degli amici e quello del conoscere nuove persone. La magia si spezza non quando mi viene voglia di accelerare e superare il nordico, ma quando il ginocchio cede rovinosamente, cosa mai accaduta prima, obbligandomi prima a fermarmi, medicarmi e poi a riprendere a passo di marcia. Perdo così 10 ore di gara e 7 posizioni (arrivo 14esimo), ma ritrovo quello che avevo perso la scorsa estate: il piacere del viaggio. Sì perché negli ultimi anni, un po’ per gli amici, un po’ per il gruppo, un po’ per il fatto che io stesso organizzo una gara, mi sono trovato a correre pensando a mille cose e pressato da un lato dalle aspettative di chi mi segue da casa e dall’altro da valutazioni e paragoni con la mia gara. Insomma, correre stava diventando un inferno, stava perdendo la sua spontaneità con un continuo confronto e render conto a me e agli altri.

Scroc! Il ginocchio dice stop! Lo fascio, pian piano posso andare avanti. Mollo la terza gara di fila, con un’ottima motivazione, o arrivo alla fine in relax con 10 ore di più? Opto per la seconda opzione e così, camminando, ritrovo il piacere del tramonto, dell’alba e del delirio visionario delle notti insonni. Siamo circa a 60 ore di gara, 70 senza sonno- attimi in cui le allucinazioni ed i pensieri si mescolano insieme in una nebbia onirica dove i déjà-vu e le fantasie prendono il posto e si sovrappongono alla realtà. Al punto di fare gli ultimi 30 km sicuro di essere già stato su quei sentieri, certo di conoscerli alla perfezione, ma senza averci mai messo piede. Quelle ore della notte fonda, tra mezzanotte e le tre, quando il cervello unisce frammenti di ricordi di mille gare, li sovrappone alla realtà e cerca la familiarità delle forme in ogni cosa. E così mi trovo ad arrampicare, attaccato a corde fisse ancorate su deboli arbusti, con mille metri sotto di me un paese del quale prima sentivo le voci di una partita di calcio e poi le note di una balera latino-americana e con la folle sicurezza di chi quel sentiero lo ha già fatto e lo conosce bene. Un vero trip. Deliri onirici a parte, questa gara offre l’opportunità di vedere Gran Canaria sotto una luce completamente diversa da quella che si ha visitando l’isola da turista, come offre un supporto organizzativo che non ha nulla a che vedere con quello delle sorelle dell’Ultra Trail World Tour. La TGC360 è organizzata in modo molto spartano, i servizi sono minimi, l’assistenza quasi inesistente e le informazioni da parte dell’organizzazione quasi nulle; difficilissimo comunicare sia con gli organizzatori prima della gara che con i volontari sul percorso e al campo base in Inglese, Francese, Tedesco o Italiano. Qui si parla quasi solo spagnolo. Anche le informazioni sul percorso e del roadbook sono scarse e, tra quelle che potevano dare, forse hanno selezionato le meno importanti. In compenso il personale sul percorso è estremante cortese, disponibile e solare. Tolti questi aspetti, che non sono critiche, ma un monito a chi si aspetta una gara con lo stesso servizio delle distanze più brevi, c’è da dire che la traccia è davvero bella e vale a pieno la fatica. Ci sono delle sezioni che probabilmente non hanno aggiornato nel 2019-2020, in quanto sono segnati dei passaggi ora franati o che sono stati soggetti ad incendi, e dove la traccia è stata spostata con delle modifiche. Fortunatamente li ho affrontati tutti con la luce e quindi con un po’ di buon senso e navigazione creativa ho aggiustato il tiro. Credo che la cosa faccia parte del gioco.

Trans Gran Canaria 360

Per chi volesse affrontare questo viaggio le cose da tener presente sono poche, ma di estrema importanza.

I primi 50 km sono completamente senza acqua e cibo. Tre litri non bastano. Temperature alte e tutto al sole. Bisogna bussare alle porte dei paesi, fermare i passanti e chiedere. Altrimenti è impossibile farcela.

Il duro della gara arriva alla fine, sono gli ultimi 40 km quelli che spaccano, e che richiedono molto impegno tecnico.

I ristori sono poveri: merendine, coca cola, acqua naturale. Elettroliti assenti, acqua gassata assente e spesso nemmeno cioccolato o dolci. In compenso hanno una zuppa canaria di verdure davvero superlativa. Insomma, una gara spartana e ruvida, ma che assicura un’esperienza autentica.

E così oggi, ad una settimana di distanza, in un mondo diverso, mi vien voglia di partecipare nuovamente.

Sì, perché anche se ho finito, ho un conto in sospeso, non con la gara, ma con la realtà. Come se partendo avessi attraversato uno stargate e mi fossi trovato in un mondo nuovo, ora devo aspettare un anno per saltare di nuovo tra le dimensioni, curioso di vedere se tornerò a casa o mi troverò in un altro mondo ancora. Partendo senza dare per scontato quella libertà e spensieratezza che fino a ieri erano normali e oggi per tutti noi sono un ricordo.

Trans Gran Canaria 360

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